sabato 11 gennaio 2014

L'affaire Cerroni: i nodi vengono al pettine

L'arresto di Manlio Cerroni e dei suoi sodali nell'ambito dell'inchiesta sulla gestione criminale dei rifiuti nel Lazio, e sul piano da questi architettato per costituire un monopolio di fatto nella nostra Regione, possiamo ragionevolmente ritenere che ponga la parola fine non solo all'ipotesi di realizzazione dell'inceneritore di Albano Laziale ma anche allo squallido sistema di corruttela che ha visto coinvolti imprenditori disonesti, politici corrotti e funzionari pubblici in vendita al miglior offerente.

Tuttavia le ricostruzioni giornalistiche che si stanno susseguendo presentano quasi tutte un eccesso di semplificazione nel raccontare l'intera vicenda che rischia di prestarsi a numerosi fraintendimenti e di non rendere giustizia all'operato di quanti, in quei giorni, produssero uno sforzo straordinario per inceppare il meccanismo ben oliato del Supremo e dei suoi compagni di merende.

Procediamo per punti.

A) Non è vero che l'allora Assessore Regionale all'Ambiente Zaratti abbia fatto pressioni per far rilasciare un parere negativo sull'impianto agli uffici VIA (Valutazione Impatto Ambientale), uffici che pure ricadevano sotto la responsabilità dell'Assessorato stesso. Non è vero perché ciò avrebbe costituito una violazione della legge Bassanini che postula l'autonomia dei procedimenti amministrativi dagli indirizzi politici. Ciò che Zaratti fece all'epoca fu di fare politicamente quadrato attorno a quegli uffici affinché potessero rendere il loro parere in completa autonomia, senza cioè subire pressioni da parte di chicchessia. Gli "scagnozzi" di Zaratti di cui si parla nelle intercettazioni telefoniche altri non sono che il sottoscritto, Guglielmo Abbondati, Claudio Fiorani, Fabio Papa (allora segretario del WWF Castelli Romani) Roberto Salustri ed altri che all'epoca si sottoposero ad un lavoro massacrante per esaminare tutta la proposta progettuale depositata da Cerroni e smontarla punto per punto con la presentazione di una quantità impressionante di osservazioni - tutte nel merito scientifico e tecnico - che evidenziavano le numerose criticità ed illegittimità del progetto stesso: a partire dall'approvvigionamento idrico dell'impianto, per proseguire con l'artefazione delle previsioni di emissioni inquinanti in atmosfera, sino all'ingiustificato dimensionamento dell'impianto per concludere con l'illegittimità dell'iter amministrativo nel suo insieme, perché quell'impianto, semmai, avrebbe dovuto essere messo a regolare bando di gara europeo. Quelle osservazioni fecero sì che gli uffici rigettassero, per scienza e diritto, la VIA.

B) L'Assessorato Regionale all'Ambiente non ha mai avuto fra le sue deleghe quella ai rifiuti. L'opacità amministrativa sotto questo profilo è impressionante: il Governo Prodi assegnò in un primo tempo i poteri commissariali a Marrazzo, che però continuò ad esercitarli indebitamente anche quando la fase commissariale si era chiusa a termini di legge. Da quel momento in poi la reiterazione dei poteri commissariali a Pecoraro e Sottile si mescola in maniera inestricabile (ma a far luce ci penserà la magistratura da qui in avanti) con l'assegnazione della delega fantasma ai rifiuti. A quanto mi consta lo stesso Mario di Carlo, sebbene indicato ad un certo punto come responsabile dei rifiuti per il Governo Marrazzo, non ricevette mai ufficialmente quella delega, né mi risulta che lo stesso Marrazzo ne abbia mai assunto l'interim; se qualcosa del genere è avvenuto è stato - lo ripeto - nella più completa opacità ed illegittimità amministrativa. L'Assessorato all'Ambiente era titolare del procedimento di VIA e si dispose sempre allo stretto rispetto delle sue funzioni, senza ingerenze di sorta né fantomatiche battaglie politiche per avere la delega ai rifiuti.

C) È mia fermissima convinzione, sebbene non abbia prove di ciò, altrimenti mi sarei già recato alle autorità competenti per trasmettergliele, che il processo di delegittimazione dell'Assessore Zaratti che né seguì - vera e propria macchina del fango all'opera - ebbe il senso di una ritorsione ai suoi danni per non essersi piegato a quel meccanismo corruttivo che infestava la Regione Lazio, tanto nella compagine di governo che in quella amministrativa. Le mostruosità che circolarono in quel periodo su Zaratti, che avrebbe recitato una parte in commedia di finta contrarietà all'impianto solo per non inimicarsi il suo bacino elettorale, vengono oggi - e definitivamente - smentite dalle carte degli inquirenti. Anzi, proprio quelle carte testimoniano della posizione scomoda che Zaratti assunse sulla questione, che non mollò mai la presa e che resistette a tutte le pressioni politiche che ne seguirono. Personalmente credo - anche se lui non lo ammetterà - che Filiberto abbia ricevuto persino delle minacce, delle quali non ci parlò mai perché non è tipo da farsi intimidire, né uso a lagnarsi o a fare la vittima. E credo che a quella macchina del fango qualcuno si sia prestato scientemente per volgare e cinico tornaconto politico/elettorale, e molti per ingenuità, ignoranza e - seppur comprensibile - sfiducia generalizzata nella politica.

D) Infine mi preme rimarcare che quanto detto sinora non toglie una virgola allo straordinario lavoro fatto in questi anni da associazioni e comitati, a cui va eterna gratitudine per avere tenuto alta l'attenzione dei cittadini sulla questione, per aver diffuso la consapevolezza circa i pericoli mortali dell'impianto di Albano e per aver proseguito senza sosta la difficilissima battaglia legale grazie alla quale i piani criminosi di Cerroni&Co. sono stati tenuti in stallo per tutto questo tempo.

Credo che siano finalmente giunti tutti i nodi al pettine e che si possa riconoscere con serenità i meriti dei protagonisti di questa vicenda i quali, ciascuno per le proprie capacità e competenze, hanno equamente contribuito a conseguire questa storica vittoria di civiltà, democrazia e legalità.

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